Dal Consiglio Comunale / No alla dotazione del Taser per la Polizia locale

 Dal Consiglio Comunale / No alla dotazione del Taser per la Polizia locale

Il Consiglio comunale ha respinto una mozione di Lega Modena, FI, Fdi-Pdf e Modena sociale che chiedeva di fornire le armi a impulsi elettrici

Il Consiglio comunale di Modena dice no alla dotazione del Taser per la Polizia locale. Nella seduta di giovedì 14 luglio ha infatti respinto una mozione presentata da Lega Modena, Forza Italia, Fratelli d’Italia – Popolo della famiglia e Modena sociale, illustrata da Alberto Bosi (Lega Modena), che chiedeva di fornire le armi a impulsi elettrici al corpo di Polizia locale, previa modifica al Regolamento comunale, formazione e sperimentazione. Si sono espressi a favore della mozione i gruppi proponenti, contraria la maggioranza e astenuto il M5s. Al momento, comunque, per le Polizie locali la possibilità di sperimentare il Taser non è stata prevista dal Ministero.

Per Lega Modena è intervenuta Barbara Moretti, che ha denunciato come “Modena registri un tasso altissimo di aggressioni a personale delle Forze dell’Ordine. Questo nuovo strumento – ha precisato – funge da deterrente: gli agenti possono segnalare di poter utilizzare il Taser senza farne effettivamente uso e senza che nessuno si faccia male. Per noi questa introduzione è motivo di soddisfazione e troveremmo difficile comprendere un voto contrario”.

Federico Trianni di Sinistra per Modena ha espresso perplessità sul fatto che il Taser “possa essere un deterrente maggiore rispetto alla pistola già in dotazione alla Polizia locale”. Il consigliere ha evidenziato “che l’utilizzo di questo strumento non è esente da pericoli sul piano della salute, per chi riceve la scarica, ma anche sul piano legale, per chi la dà. A livello ideale – ha concluso – non posso dirmi d’accordo che si spendano ancora soldi pubblici per acquistare armi”.

Per Andrea Giordani del M5s è importante tutelare le Forze dell’Ordine nel loro lavoro ma anche le persone dal punto di vista della salute”. Il consigliere ha riportato esempi di situazioni in cui sono rimasti feriti agenti: “Forse con l’uso del Taser si sarebbe potuto riportare l’ordine in tempi più brevi utilizzandolo solo verso le persone più esagitate, che spesso non si contengono perché sotto effetto di farmaci, droghe o alcool. Se devo scegliere preferisco difendere agenti in servizio rispetto a persone che vogliono creare caos”.

Giovanni Bertoldi (Lega Modena) ha sottolineato che “gli agenti di Polizia devono potersi difendere e la pistola può essere usata solo come estrema ratio quando di fronte si trovano una persona armata che ne fa uso. Il problema più grosso sull’impiego del Taser è nel caso di persone con problematiche cardiache portatrici di pacemaker, ma statisticamente non credo sia una situazione così frequente. Utilizzato altrove – ha aggiunto – questo strumento sta dando buoni risultati e, se li darà anche la sperimentazione in Italia sarà confermato”.

Vincenza Carriero del Pd ha sottolineato che “in Italia è stata introdotta la sperimentazione per sei mesi per Carabinieri, Polizia di stato e Guardia di finanza e non è andata benissimo: ci sono città che non hanno confermato” e che “la Corte Costituzionale, con sentenza di aprile, ha dichiarato incostituzionale la modifica che la Regione Lombardia voleva fare sulla normativa nazionale per dotare di Taser anche la Polizia locale”. La consigliera ha riportato inoltre alcuni dati sulle sospette morti legate all’uso di Taser.

Per Paola Aime di Europa Verde – Verdi “la discussione sta prendendo una piega scivolosa: sembra che ci si divida tra chi vuole proteggere le Forze dell’Ordine e chi no”. La consigliera ha riportato come “la stessa Amnesty International lo considera un’arma che può uccidere e in America si registrano oltre mille morti collegate all’uso del Taser. Non possiamo pensare che gli agenti possano scannerizzare chi hanno di fronte per capire se è cardiopatico, incinta o drogato, evitare contatto diretto e valutare la distanza adeguata, cioè tra i 3 e i 7 metri”.

Secondo Stefano Prampolini (Lega Modena) “una persona che delinque o si ferma o gli si deve impedire di delinquere. È una questione di libertà personale: il delinquente può evitare l’impiego del Taser; nessuno lo obbliga ad aggredire i poliziotti e credo sia una cosa giusta che questi si possano difendere invece che sparandogli, che è l’estrema ratio, mostrandogli il nuovo strumento come deterrente o dandogli una scarica in caso di necessità. Noto sempre la simpatia della sinistra per i delinquenti”.

Elisa Rossini di Fratelli d’Italia – Popolo della famiglia ha evidenziato che “la sentenza della Corte costituzionale nei confronti della Regione Lombardia fa riferimento a questioni di competenza nel decidere di questa materia ma non entra nel merito dell’utilizzo dello strumento. La proposta della mozione – ha aggiunto – può essere messa in discussione per questo aspetto, ma rispetto al Taser è indiscusso che possa tutelare le Forze dell’ordine e anche chi delinque piuttosto che in caso di uso di pistola”.

Anche per Diego Lenzini (Pd) “si sta andando su un terreno molto scivoloso e penso che non si abbiano elementi sufficienti per valutare questo discorso: c’è una sperimentazione nazionale partita a marzo che darà risultati e questi verranno valutati da persone esperte”. Il consigliere ha inoltre evidenziato che “spesso i drammi avvengono quando nell’uso dell’arma si sbaglia colpo e si colpisce chi è vicino, senza contare che, con il Taser, se chi è colpito cadendo a terra prende contro a qualcuno, anche quest’ultimo prende la scossa”.

Luigia Santoro di Lega Modena ha espresso la speranza “che non ci sia mai bisogno di utilizzare il Taser” ma, rispondendo a Lenzini, ha sottolineato che “il rischio di sbagliare nell’uso del Taser e colpire qualcun altro vale ancor di più per le armi da fuoco. Quindi la cosa importante – ha aggiunto – è fare di tutto affinché chi è dotato di Taser sia una persona preparata a usarlo: formiamoli e non diamo lo strumento in mano a chiunque”.

In chiusura di dibattito è intervenuto anche il sindaco Gian Carlo Muzzarelli, che ha parlato di discussione “kafkiana e offensiva. L’ordine del giorno è irricevibile perché non ha i presupposti giuridici e legali e lo strumento non è in discussione per la Polizia locale perché il ministero dell’Interno ha previsto la sperimentazione solo per altre Forze dell’Ordine. La sentenza sulla Regione Lombardia è chiara – ha proseguito – e nessun Consiglio comunale può decidere di fare usare il Taser alla Polizia locale del proprio Comune”.

RIFORMARE LA CITTADINANZA AGLI IMMIGRATI, OK A ODG

Il Consiglio ha approvato il documento di Scarpa (Sinistra per Mo) per un iter “più rapido, certo e inclusivo”. Sì anche all’odg di Aime (Verdi) per una cerimonia con i nuovi cittadini

Approvare rapidamente una nuova legge che riconosca la cittadinanza italiana alle donne e agli uomini, ma soprattutto a bambine e bambini che vivono in Italia e che sono figli di genitori non italiani, attraverso un iter “più equo, inclusivo, certo e rapido di quello attuale”. Lo chiede al Parlamento l’ordine del giorno per il sostegno alla riforma della cittadinanza e il riconoscimento diffuso dei diritti approvato dal Consiglio comunale di Modena nella seduta di giovedì 14 luglio. Presentato da Camilla Scarpa (Sinistra per Modena) e sottoscritto anche da Pd, Europa verde-Verdi, Modena civica, il documento ha ottenuto il voto a favore anche del Movimento 5 stelle; lega Modena, Fratelli d’Italia-Popolo della famiglia e Forza Italia non hanno partecipato al voto.

Nella stessa seduta è stato approvato, con voto unanime dell’assemblea, anche un secondo ordine del giorno sulla cittadinanza, presentato da Paola Aime (Europa verde-Verdi) con il quale si invita l’amministrazione, non appena la situazione sanitaria lo permetterà, a invitare i nuovi maggiorenni diventati italiani a un incontro ufficiale a Palazzo comunale, “per sottolineare il valore e la responsabilità del nuovo percorso che hanno intrapreso come adulti con cittadinanza italiana”. Il documento, infatti, partiva dal presupposto che negli ultimi due anni i ragazzi che hanno ottenuto la cittadinanza non hanno potuto essere accompagnati all’Ufficio anagrafe da nessuno e che “quel momento così importante e solenne non si sia potuto immortalare nemmeno con una fotografia”.

L’ordine del giorno che sostiene la riforma della procedura per ottenere la cittadinanza italiana rileva, nelle premesse, che sono molte le persone “sistematicamente escluse” dalla cittadinanza italiana: i bambini e le bambine nati in Italia da genitori non italiani che possono richiederla solo a 18 anni nell’ambito di procedure che “non di rado terminano con un diniego”, i ragazzi e le ragazze nati altrove e cresciuti in Italia, che spesso hanno la possibilità di diventare italiani solo in età adulta; gli adulti che vivono stabilmente in Italia e che possono chiedere la cittadinanza solo dopo dieci anni di residenza ininterrotta e solo se dispongono di una soglia di reddito.

“L’esclusione dalla cittadinanza anche dopo un lunghissimo soggiorno – ha sottolineato la consigliera Scarpa nella presentazione – è, dunque, un evento tutt’altro che marginale che produce disuguaglianze strutturali: chi è escluso dalla cittadinanza spesso ha una posizione subalterna e più precaria nel mercato del lavoro, è escluso dal diritto di voto, subisce molte limitazioni negli spostamenti e nell’attività agonistica e non ha le stesse possibilità formative scolastiche ed extrascolastiche dei coetanei italiani. La norma come è ora – ha aggiunto – è iniqua e contribuisce a legittimare un razzismo diffuso”.

Il documento ricorda, inoltre, che il Comune di Modena dal 2014 conferisce la cittadinanza onoraria, attraverso una cerimonia annuale, alle bambine e ai bambini nati a Modena e in Italia da genitori senza cittadinanza italiana che siano iscritti alla quinta elementare o che abbiano compiuto dieci anni, “riconoscendo così il dato di fatto della presenza stabile di questi bambini sul territorio italiano”.

Intervenendo nel dibattito, Elisa Rossini (Fratelli d’Italia-Popolo della famiglia) ha giudicato la questione “più complessa di come la rappresenta la propaganda: la cittadinanza concede molti diritti anche ai familiari di chi la ottiene e sarebbe bene prevedere un percorso che dia tempo al richiedente di valutare le sue esigenze e dimostrare l’interesse per il nostro Paese. Ci sono idee diverse in Parlamento su questo percorso ma la proposta sul tavolo cambia le regole d’ingaggio e dovrebbe, quindi, essere ampiamente condivisa”. Motivando il non voto, la consigliera ha affermato che “c’è un dibattito parlamentare in corso e una spinta come quella data dall’ordine del giorno è inopportuna, irresponsabile e ideologica”.

Giovanni Bertoldi (Lega Modena) si è soffermato sulla situazione attuale, osservando che “molti stranieri con requisiti equivalenti vengono trattati in modo diverso dalle istituzioni, e quindi capita che anche chi ha i requisiti non riesca a ottenere la cittadinanza. Servirebbe un maggiore coordinamento tra gli enti che si occupano di immigrazione e di cittadinanza, per avere una maggiore uniformità di trattamento”.

Per il Pd, Alberto Bignardi ha ribadito che “è ingiusti crescere a Modena, avere anche un accento modenese e non essere riconosciuti come italiani ma, anzi, considerati stranieri nell’unico Paese che si conosce”. Avere diritti limitati ed essere esclusi da molte delle attività svolte dai coetanei “non aiuta a creare integrazione e senso di appartenenza e spesso causa fratture. Il passaporto italiano per questi ragazzi è un diritto, non una concessione”. Per Vittorio Reggiani “sollecitare l’approvazione, mi auguro rapida, di una legge che ampli la possibilità di ottenere la cittadinanza, riconoscendo uno stato di fatto, vuol dire interessare tutte le comunità locali a far sì che questa legge diventi pratica quotidiana sociale e civica”. Secondo il consigliere, inoltre, è giusto che i diritti siano estesi ai familiari “per non creare fratture che poi ricadono negativamente sulla società”. La cittadinanza “non è un regalo” ha detto Federica Di Padova, ma uno strumento “per crescere insieme come comunità, con uguali diritti e responsabilità da parte di tutti. Lo ius scholae, inoltre, riconosce concretamente alla scuola il suo ruolo straordinario nel creare comunità e cittadinanza. I ragazzi e le ragazze a cui questa legge si rivolge sono già italiani, nella lingua, nella residenza, nella quotidianità. A chi conviene negare una realtà che è sotto i nostri occhi?”.

Secondo Giovanni Silingardi (Movimento 5 stelle) conferire la cittadinanza “significa soprattutto conferire doveri e questa è una garanzia per la comunità. Lo ius scholae riguarda bambini e bambine che hanno cresciuto dentro di loro le stesse radici culturali e didattiche dei bambini italiani, ed è una soluzione pragmatica che rende le persone più partecipi della comunità in cui vivono, per non creare due città: quella degli inclusi e quella degli esclusi”.

Dopo aver affermato che “nessuno è italiano al cento per cento, nessuno appartiene a una razza pura”, Paola Aime (Europa verde-Verdi) ha sottolineato che “l’integrazione passa per il riconoscimento della cittadinanza e, quindi, di un’appartenenza. È il modo in cui viene detto a chi vive già qui che non è un corpo estraneo nella società ma un cittadino come tutti gli altri”.

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