Sfida su privacy Vasco, confermata la condanna a Salvati

Il processo in appello a Bologna, due anni all’ex manager

Confermata in appello la condanna a due anni al regista Stefano Salvati, per calunnia nei confronti di Vasco Rossi di cui è stato manager tra fine 2012 e il 2013, prima che il rapporto si interrompesse. Il processo penale ha al centro il legame professionale tra i due e in particolare la stipula di un patto di riservatezza.

La sfida giudiziaria iniziò nel 2014, quando Salvati citò in giudizio civile il cantante, chiedendo il pagamento della prima rata prevista dall’accordo sulla privacy, a suo dire oneroso: sei milioni in 30 anni, 200mila euro all’anno. Per Rossi, che querelò il regista, fu effettivamente firmato un accordo, ma gratuito e uguale a quelli sottoscritti con altri collaboratori.
Quello a pagamento, invece, era falso, come stabilito anche dal tribunale.
La Corte di appello di Bologna, dopo una lunga camera di consiglio, ha confermato la sentenza anche per il fatto che la sospensione condizionale della pena è subordinata al risarcimento del danno, 10mila euro. “Vasco è soddisfatto e ribadisce che non cercava vendetta”, ha detto l’avvocato del rocker, Guido Magnisi, parte civile. Salvati è difeso dall’avvocato Raffaele Miraglia. “Aspettiamo di vedere le motivazioni, poi faremo ricorso in Cassazione”, ha detto il difensore dell’imputato.

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