Mario Martone dirige “Il filo di mezzogiorno”, dal 20 al 23 gennaio al Teatro Storchi di Modena

 Mario Martone dirige “Il filo di mezzogiorno”, dal 20 al 23 gennaio al Teatro Storchi di Modena

Spettacolo teatrale tratto dall’opera letteraria “Il filo di mezzogiorno” di Goliarda Sapienza. Adattamento teatrale di Ippolita Di Maio. Regia di Mario Martone interpretato da Donatella Finocchiaro e Roberto de Francesco.

Dopo aver portato in scena Fabrizia Ramondino, Anna Maria Ortese ed Elsa Morante, Mario Martone prosegue il suo viaggio nella scrittura declinata al femminile e incontra Goliarda Sapienza. Il regista si confronta con il suo libro autobiografico Il filo di mezzogiorno nell’adattamento teatrale di Ippolita di Majo.

Lo spettacolo, con in scena Donatella Finocchiaro nei panni della scrittrice e Roberto De Francesco in quelli del suo psicanalista, è atteso al Teatro Storchi di Modena dal 20 al 23 gennaio (giovedì e venerdì ore 20.30, sabato 19.00 e domenica 16.00).

In occasione della replica di sabato 22 ERT / Teatro Nazionale organizza Vengo anch’io! Laboratori creativi per bambini mentre i genitori sono a teatro: l’associazione Il Flauto Magico condurrà alle 19.00 nel ridotto del Teatro un laboratorio di musica per i bambini dai 6 ai 12 anni.

Goliarda Sapienza, scrittrice rimasta molto a lungo nell’ombra, non ha vissuto abbastanza per vedere la pubblicazione del suo romanzo più grande, L’arte della gioia. Era una donna fuori dagli schemi e dalle ideologie politiche del tempo: ha combattuto la sua battaglia prima partigiana, poi femminista. Sempre controcorrente e contro il conformismo, ha lottato con tutti i mezzi che aveva a disposizione, primo fra tutti la scrittura.

Il filo di mezzogiorno, pubblicato inizialmente da Garzanti nel 1969 e ora edito da La nave di Teseo, ripercorre con lucidità e dovizia di particolari il suo percorso psicanalitico: grazie all’intervento del suo compagno, il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza viene portata via di forza dalla clinica psichiatrica in cui era stata rinchiusa. Ma una volta a casa non ricorda più nulla di sé, del suo passato e degli ambienti che la circondano. Uno psicanalista, che arriva tutti i giorni alla stessa ora, mezzogiorno, ha il compito di riportarla alla vita.

La donna insegue la memoria, i ricordi, le sensazioni, le libere associazioni mentre lo psicoanalista la guida, l’accompagna mentre riesce a farla ritornare dalle tenebre, in cui l’avevano sprofondata il ricovero in manicomio e i ripetuti elettroshock.

Nell’adattare il testo per la scena, Ippolita di Majo si è addentrata nelle pieghe del testo: «Ho iniziato a tirare un filo – afferma la drammaturga – a cercare di districare la matassa di sentimenti ed emozioni incandescenti di cui è fatto il libro, per delineare un ritratto di lei e per lasciare emergere, con la maggiore chiarezza possibile, la forza di una relazione salvifica e distruttrice allo stesso tempo. L’esperienza analitica della scrittrice si colloca agli albori della psicoanalisi in Italia, era un tempo in cui si poteva cadere in errore, i confini della disciplina non erano ancora così netti. La sua è una cura molto particolare per via dello stato in cui gli elettroshock l’avevano ridotta, l’analista che la segue, e che pure riesce a farle tornare la memoria, i ricordi, la parola, la scrittura, poco a poco crolla, qualcosa non funziona, l’assenza del setting analitico lo lascia sprotetto, preda del suo turbamento, delle sue fragilità e del suo pensiero onnipotente. Goliarda prevale, lo disorienta di continuo con la sua intelligenza fulminea, con la sua ironia, con la spregiudicatezza del pensiero, con il suo non essere in alcun modo riconducibile a qualcosa di noto. Ho lavorato molto su questo punto per dare forma nella drammaturgia a un capovolgimento dei ruoli, perché Il filo di mezzogiorno è uno straordinario romanzo autobiografico, un canto di libertà a ogni costo, un libro d’amore per l’analisi, ma è anche il racconto di un contagio psichico».

Il tempo dell’azione è quello dell’analisi, fatto di vivi, morti, fantasmi, desideri ed emozioni che si rincorrono in momenti storici diversi: c’è lo psicoanalista, la madre Maria Giudice, il padre Peppino Sapienza, la sorella Nica, il fratello Ivanoe, il compagno Citto e le amiche Titina, Haya, Marilù… Questo susseguirsi si traduce in scena in un corpo a corpo in cui i ruoli paziente/analista si scompongono, si invertono per poi riprendere forma e ricominciare daccapo.

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