Modena piange la scomparsa di Carlo Savigni

E’ morto ieri a Modena, all’età di 78 anni, Carlo Savigni, il fotografo del beat, pioniere delle radio libere a Modena, aveva fondato Modena Radio City nel 1976. È stato, infatti, fotografo ufficiale dell’Equipe ‘84, dei Nomadi ed anche di Francesco Guccini. Nella città emiliana era anche molto conosciuto per aver fondato, negli anni Settanta, Modena Radio City ed aver mosso i primi passi nell’etere nel 1975, con Radio Modena, in via Venturi. Poi la scissione dal gruppo di Radio Modena e il passaggio, assieme ad Enzo Natali, scomparso qualche anni fa, di Radio City, per la quale ha conditto programmi di grande successo portando l’emittente verso ascolti altissimi. Una vita, la sua, ricchissima di eventi, di azioni e di episodi che hanno segnato un’epoca, quella degli anni 60′, 70 e 80. Dal papà, venditore di dischi in via Canalino, aveva assorbito le sue due passioni: per la musica, appunto, e per la fotografia, tanto da avere incrociato le carriere leggendarie di Beppe Zagaglia e Franco Fontana. Alcuni dei suoi scatti sono diventati mostre, negli ultimi anni, dal Bar Grand’Italia agli altri raduni dei cantautori beat. Musica e immagini hanno segnato anche il percorso imprenditoriale di Savigni.
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Carlo Savigni in uno dei suoi ultmi post su Fb ha raccontato come è nata la radio libera a Modena.
Visto che siete molto legati al ricordo di Modena Radio City, se avete voglia di leggere, vi racconto, in esclusiva, come è nata:
Verso la fine del 1974 si iniziava parlare di radio e televisioni libere.
In quel periodo conobbi Rossano Belelli, un politico, un uomo di Andreotti, che lui chiamava, amichevolmente, Giulio. Belelli aveva intenzione di dar vita a Tele Modena, e mi chiese se mi interessava l’incarico di occuparmi del suono. Accettai.
Della parte artistica si occupava il mitico cartoonist Secondo Bignardi, dell’alta frequenza Angelo Saltarin – che aveva allestito un ponte a Serramazzoni – mentre la vendita degli spazi pubblicitari era affidata al compianto Vico Vandelli.
La televisione, se così si poteva chiamare, nacque in Via Venturi, dove preesisteva uno studio di registrazione che realizzava e duplicava nastri per il Vaticano.
L’ambiente, al piano terra di un condominio, aveva un ingresso indipendente che dava sul cortile e consisteva in un grande salone aperto più una piccola stanza separata dal salone attraverso vetri: era la regia.
Il palinsesto della neonata emittente, che apriva le trasmissioni alle 20 circa, consisteva nella messa in onda di un telegiornale, prima e dopo il quale venivano proiettate diapositive pubblicitarie, come si fa al cinema, commentate da una voce fuori campo. Alla fine della pubblicità andava in onda, per via del costo dei diritti e della Siae, un film di quelli che non si proiettavano più neppure nelle parrocchie di campagna.
Si respirava un’aria di pionierismo e di grande entusiasmo ma le cose non venivano svolte con gran facilità. Anzi, per andare in onda alle 20 bisognava lavorare sodo e senza sosta dal mattino alla sera.
Il film, che doveva essere “proiettato”, veniva noleggiato presso un distributore di Bologna e all’alba, la pellicola, veniva portata a Roma, in aereo, nell’unico studio dotato di una macchina – il “Telecinema” – che trasferiva immagini e audio su due o tre “cassettone”: il primo standard Pihilps per la videoregistrazione amatoriale, di cui era dotata la Tele Modena di allora. La sera, un uomo di Belelli, cui era stato affidato l’incarico, atterrava all’aeroporto di Bologna e, atteso da un’auto blu della DC, arrivava a Modena, giusto in tempo. Abito scuro e valigetta gli conferivano un’aria più da operazione spionistica che altro. Non saprò mai perché a Roma non venissero spediti più film per volta, visto che l’operazione si sarebbe svolta il giorno dopo, quello dopo ancora e così via.
Per la pubblicità le immagini venivano proiettate su di un telo appeso al muro e riprese da una telecamerina, anch’essa di tipo dilettantistico, che registrava il tutto su di un’altra cassettona. La voce fuori campo, spesso, a causa dell’oscurità, o leggeva male o non era sincronizzata con le immagini. Fatto sta che, per ottenere un risultato decente, servivano ore e ore di prove.
Per il notiziario, stessa cosa. Le registrazioni, non esisteva la diretta, iniziavano nella seconda parte del pomeriggio, il più tardi possibile, per avere notizie fresche. Inutile dire, che non era mai “… Buona la prima”.
Non era possibile la diretta. Nulla poteva essere mandato in onda dagli “studi” di Modena perché mancava il link, cioè il collegamento Modena-Serramazzoni. Ecco allora che entrava in ballo il “transponder” umano: Angelo Saltarin che, a bordo di una vecchia millecento, cassette rigorosamente ordinate e numerate in ordine di messa in onda, partiva per la Serra dove, all’interno del gabbiotto ubicato sotto le antenne, c’era un videoregistratore come quello di Modena, collegato al trasmettitore. Bastava inserire la prima cassetta, premere il pulsante play, e… eravamo in onda.
Il prodotto finito, bianco e nero, anzi, grigio e nero sgranato, era un disastro ma era commovente. Le facce dei lettori del notiziario si intravedevano appena, la pubblicità era retorica e controproducente, il film, spesso di cappa e spada, non poteva piacere a nessuno.
Il massimo del colpo di scena si aveva al cambio di cassetta. Quando finiva la prima, Saltarin premeva il tasto stop (lo schermo a casa diventava tutto sgranato come quando l’antenna è staccata dal tv) estraeva la cassetta, inseriva la successiva e ripremeva il tasto play. Dopo circa cinque minuti le immagini riprendevano ad arrivare. Accadeva a ogni cambio di cassetta, cioè cinque sei volte in un’ora.
Ci stupimmo moltissimo quando sapemmo che la gente aspettava la sera per vedere la TV della propria città e ne parlava per le strade, nei bar, sul lavoro. Fu un vero successo. Avevamo inventato la televisione locale. Anni dopo, negli ’80, Rossano Belelli sarebbe diventato un grande Boss della televisione privata regionale.
Dentro di me, però, cresceva la voglia di radio.
Da anni ero un accanito ascoltatore di radio private (Luxembourg e Montecarlo) e dopo la nascita delle prime radio libere a Parma e Milano, accarezzavo l’idea di farne una mia a Modena. Ne avevo parlato con alcuni amici al Grand’Italia, che continuava a essere il luogo d’incontro di sempre, quando arrivò in città Bocchi, non ricordo il nome, con il progetto di fare Radio Modena.
Conoscevo già Bocchi perché era concessionario degli Hi-Fi Pioneer per Parma, come io lo ero per Modena. Italo Albieri, rappresentante per l’Emilia Romagna, organizzava spesso cene di lavoro che riunivano i vari rivenditori della regione. Così Bocchi venne da me, mi chiese se intendevo dargli una mano, e alla mia risposta affermativa mi incaricò di reclutare dei giovani intenzionati a partecipare.
La strana teoria di Bocchi, che in verità non aveva le idee molto chiare, era che i giovani prescelti dovevano appartenere alla Modena bene. Non capii perché, ma mi adeguai.
I primi furono Daniele Soragni e compagnia, fra cui Max Mati e altri, che allora erano poco più che ragazzi.
Gli studi furono allestiti in Via Venturi, proprio nei locali di Tele Modena che aveva chiuso i battenti dopo pochi mesi d’attività.
Il luogo si prestava: c’era già l’angolo regia, dietro il vetro, i cavi per la “bassa frequenza” erano ancora efficienti e c’erano ancora, persino, le scrivanie per la “redazione”.
L’antenna venne montata sul tetto del palazzo che non era molto alto ma, visto che le frequenze FM allora erano “pulite”, il segnale emesso da un trasmettitore residuato bellico bastava a coprire la città e il comprensorio.
Bocchi che, come dicevo, non aveva le idee molto chiare, si limitava a “tenere la posizione”, e aveva dato alla neonata Radio Modena, che era subito diventata un luogo d’incontro, un taglio di tipo parrocchiale dove regnava l’anarchia totale.
Chiunque poteva arrivare, a qualsiasi ora, e andare in onda dicendo quel che gli veniva in mente, suonando i suoi dischi portati da casa, finché ne aveva voglia. Tutti sapevano tutto, tutti erano esperti di musica, le “dediche e richieste” arrivavano di continuo, spesso da amici e signore della porta accanto che si complimentavano con lo speaker di turno che si scioglieva in un brodo di giuggiole. Il tutto rigorosamente On Air.
Nelle “ore di punta” c’era un andirivieni incredibile di ragazzi che si atteggiavano a superstar, con ragazzine al seguito che facevano il tifo. Davanti alla sala di trasmissione c’era la fila di chi aspettava il proprio turno, come dal medico della mutua, e alla fine l’ultimo NON chiudeva la porta, che rimaneva aperta, in attesa di disk-jokey, giorno e notte. Dietro le quinte c’erano Capi a non finire che “avevano ricevuto l’incarico” da Bocchi. Che non si vedeva mai.
Dopo un mese e mezzo di questa gabbia di matti, chiesi un incontro chiarificatore col “nostro”, cercai di spiegare che non si poteva continuare così, ottenendo sguardi assenti e un: “Fai tu… di te mi fido”.
Dato che, comunque, non era arrivato alcun ordine di scuderia e nessun segnale ai vari Capi, o presunti tali, continuai a trovare un territorio minatissimo su cui muovermi. Cominciai col mettere in onda un messaggio che invitava tutti coloro che ritenevano d’avere doti “radiofoniche” a presentarsi o ad inviare eventuali provini.
L’unica cassetta arrivò per posta. L’ascoltai con curiosità e interesse. Il “prodotto” era perfetto per scelta delle musiche e presentazione, che aveva un buon ritmo. La voce era calda e gradevole: l’autore era Enzo Natali.
Lo chiamai al numero di telefono indicato nel provino, che era quello del suo negozio di colori e mesticheria. Gli chiesi di incontrarlo, si precipitò entusiasta.
Daniela Moscatti la incontrai un pomeriggio nel cortile antistante l’ingresso della radio. Arrivò e, con spavalderia, mi disse: “ Se cerchi una bella donna non faccio per te ma se la cerchi brava… eccomi qua. L’assunsi al volo. Anche se aveva mentito, era pure una bella donna.
Enzo mi fece conoscere due suoi amici: Mario Labarbera e Gianni Bosi, anche loro molto simpatici, frizzanti, sembravano fatti apposta per fare radio. Nacque il trio Enzo Mario & Gianni. Mi ricordai di un ragazzino: capelli corvini lunghi fino alle spalle, alto e longilineo, che faceva il DJ la domenica pomeriggio, in un’improvvisata discoteca allestita nella Casa del Giovane nei locali del P.C.I. di Viale Fontanelli: Luca Zanarini. Lo convocai e lo inserii nello Staff assieme ad altri, palle al piede, della vecchia “gestione”.
Cominciammo a lavorare imbastendo un palinsesto: la mattina c’era Daniela, all’ora di pranzo Enzo, Mario & Gianni, al pomeriggio Luca Zanarini al quale si era unito Leo Persuader con il Philly Sound, la musica da discoteca di quel tempo.
La giornata era scandita dai generi musicali scelti da Enzo, che era un vero esperto in fatto di musica commerciale – aveva persino vinto un difficilissimo quiz musicale a Radio Montecarlo – e possedeva centinaia di 45 giri doppia facciata A, di quelli usati nei jukebox, che non si trovavano in commercio ma gli venivano forniti da un’amica del settore.
La sera, dalle 20 in poi andavo in onda io, con Luca Zanarini alla regia.
Il programma era indirizzato a tutta la famiglia con strizzatine d’occhio ai giovani. La conduzione era a due, o meglio, avrei dovuto condurlo io, ma Luca mi interrompeva continuamente, interveniva per dire la sua, io lo prendevo in giro (sennò che radio libera era?). Insomma, un vero e proprio battibecco che alla fine risultava spontaneo e gradevole. D’altronde “Striscia la notizia” è ancora così. Il nostro successo era vertiginoso, come anche quello di Daniela, Enzo, Mario, Gianni, Leo e così via. Ricevevamo valanghe di lettere e cartoline (il telefono non veniva usato perché troppo caro) che leggevamo, nessuna esclusa, in diretta. Tutte e tutti volevano partecipare, fare la loro battuta, il loro commento. Era tutto bellissimo ma… non poteva durare. Troppi “remavano contro”: chi voleva più spazio per la “cultura”, chi per il “dibattito” chi per i notiziari interminabili, e non capivano che “mamma Rai” stava perdendo colpi proprio perché le “libere” erano più “leggere” ed ascoltabili. Non tralasciavamo nulla: cultura, notizie, dibattiti ma con la gente che finalmente poteva dire la sua, non solo ascoltare…
Non poteva durare e non durò. Dopo un’altro incontro con “l’editore” me ne andai, e con me Enzo, Daniela, Mario, Gianni, Leo, Luca e poi Chicca, Bobo e Pincelli, Patrizia, Paolino e Monica, l’avvocato Gavioli ed un’infinità di amici attorno ai quali nacque Modena Radio City al decimo piano del direzionale 70 da dove trasmette tutt’ora. Da lì sono passati e cresciuti tanti giornalisti che hanno “fatto carriera”. Mi piace ricordare, in quei formidabili anni: Mauro Cortelloni, Pierluigi Salinaro, Andrea Dondi… Una storia lunga quasi trent’anni…..

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