Vie Festival / al Fabbri la compagnia greca Vasistas porta in scena una “storia di riconciliazione”
Il crollo delle Torri Gemelle, le elezioni del ’94 che portano Berlusconi a diventare premier, il disastro nucleare di Cernobyl: è la Storia che entra nella vita di Marco d’Agostin. Anche per ognuno di noi ci sono grandi punti di rottura che creano una mappa nella nostra memoria. All’Arena del Sole di Bologna, stasera e domani, rispettivamente alle 23 e alle 21.30, con “Gli Anni” il coreografo assieme alla danzatrice Marta Ciappina, offrono uno spazio scenico in cui tracciare una storia collettiva, attraverso gesti traghettatori tra il presente e un passato che vive nella nostra identità. Seguendo la traccia dell’omonimo romanzo della neo premio Nobel Annie Ernaux, D’Agostin stimola la nostra malinconia, «perché per me è il canale di empatia con lo spettatore», ci dice. Possiamo accettare il «patto empatico» che ci viene proposto dagli artisti, solo se seguiamo l’indicazione che il coreografo dà alla danzatrice: «ricordati di farti travolgere da improvvise malinconie». Infatti «chi è malinconico cerca di guardare la realtà in profondità. Percepisce il sentimento nello scarto tra uno sguardo superficiale e i momenti in cui si vedono le cose veramente».Nella stessa location, stasera alle 21 e in replica domani alle 20, la compagnia greca Vasistas porta in scena una «storia di riconciliazione», come la definisce la regista Argyro Chioti, raccontando la storia dello scultore Yannoulis Halepas. Lo spettacolo nasce sull’isola di Tinos, dove Halepas inizia la sua ascesa nel mondo della scultura e in seguito la discesa nel mondo della follia, in cui si perde per quasi trent’anni, tra ospedali psichiatrici e la severa sorveglianza della madre. Sull’isola «c’è un vento fortissimo, che riproduciamo nello spettacolo, ci sono il marmo, le pietre, e la presenza di Halepas è percepibile ovunque. Nel villaggio tutti lo vedevano come il matto: andava a isolarsi nelle montagne e vi portava delle pietre, per ritrovarle dopo». Ma a 65 anni comincia un periodo della sua vita in cui la sua arte rinasce e il suo nome viene riabilitato, «solo quando lui stesso si è riconosciuto in armonia con la propria natura e con la sua cornice sociale: è la storia di un vecchio che diventa giovane nella sua vecchiaia», conclude.Invece al DOM – la Cupola del Pilastro, va in scena oggi alle 16 e in replica domani alle 17, “Invettiva inopportuna”, l’ultima produzione della compagnia Laminarie. Un uomo incappucciato entra in scena. I suoi movimenti creano un ambiente sonoro grazie all’ausilio di microfoni che l’uomo ha applicati sulle mani, nelle scarpe e lungo il corpo. Tira fuori un foglio di carta, prova a leggerne il contenuto ma i suoi tentativi sono distorti. Dietro di lui un intrico di corde e carrucole crea una vera e propria trappola, di cui «sentivo la necessità di starci dentro e allo stesso tempo di liberarmene» afferma il regista e performer Febo del Zozzo. La scenografia diventa «l’esasperazione della macchina teatrale, di cui sono padrone ma anche prigioniero, e che permette di mettere davanti al pubblico non una rassicurazione ma un urlo». Che è un urlo anche privato, di un Io che si sente a suo agio e quindi vulnerabile: «l’audio è prodotto dai suoni emessi dal mio corpo, che cambiano in base a come mi sento, rendendo lo spettacolo più imprevedibile e quindi più forte. Io sto nel teatro, ma il teatro mi schiaccia».lFrancesco CervellinoAnita Tresca